[6] Dove sono finite le tavolate?
Una risposta non c'è.
Hei, bentrovati.
Che odio l’estate già lo sapete, ma ho raggiunto livelli incredibili: ho concretizzato questa mia repulsione verso le alte temperature addirittura chiedendo ad un ristorante dove avevo prenotato il pranzo di confermarmi di avere l’impianto di aria condizionata.
Figura da scema? E vabbè, non posso mica crepare, meglio scema che sciolta.
Ho comprato un ventaglio, che ha subito trovato posto nella mia borsa: ad una certa, è l’unico modo per darsi un contegno nel mezzo della sudorazione selvaggia. Ho deciso anche di acquistare uno spray per gambe leggere, ma mica posso dargli la responsabilità tutta a lui insomma: farà quel che potrà.
Parto proprio da lì oggi, proprio da questo pranzo che ho organizzato con la mia famiglia, per parlarvi di un tema che più segnali dall’esterno mi hanno spinto a trasferire qui.
E quindi vi chiedo: dove sono finite le tavolate?
Andiamo con ordine.
Chi mi segue sa che uno dei temi caldi che avrei sempre voluto affrontare, ma che ogni volta mi trattenevo dal fare, è quello degli inviti alla propria tavola mai più ricambiati. È un tema che mi scalda parecchio, perché amo molto ricevere, ma amo anche essere invitata e non sempre questo accade. In me onestamente questa mancanza muove molti pensieri che vanno dal disinteresse, alla pigrizia, all’ignorare delle basilari “regole sociali”, ma devo dire che negli ultimi mesi ho accantonato molto di questo fastidio.
Ho fatto un lavoro su me stessa e ho smesso di cercare chi non mi cerca, ho smesso di dannarmi e spendere tempo e risorse se non vedo affetto, cura, sincero desiderio di condivisione dall’altra parte.
Se invito, invito senza aspettarmi nulla in cambio ma seleziono sempre più.
Però, mi mancano le grandi tavolate.
Man mano che passano gli anni si accorciano sempre di più, come la lista delle vere amicizie.
Sempre meno condivisione, sempre meno voglia di far fatica per ospitare qualcuno: del resto, per chi non è avvezzo, dover organizzare un pasto da offrire non è sempre cosa facile, ma non ci si rende conto che basta un piatto di pasta e tanta voglia di stare insieme.
Si accorciano anche a causa dei parenti che ci lasciano per sempre e che ne facevano parte. Sono una persona abituata fin da piccola alle grandi, grandissime tavolate: talmente grandi da aggiungere tavolini posticci sotto la tovaglia, talmente cariche di cose buone da intimidire lo stomaco, talmente lunghe da dover urlare a quello in fondo dall’altra parte e da dover spostare mobili di casa per starci tutti. Sono occasioni di cui posso perfino ricordare i menù, posso risentire il rumore, posso visualizzare le montagne di piatti da lavare alla fine del pasto.
Domenica scorsa ci siamo ritrovati in famiglia per un’ occasione non felice ma che abbiamo reso felice: abbiamo prenotato un agriturismo, scelto un menù con grigliata e bigoi con l’arna, è stato bello, ci siamo divertiti, abbiamo mangiato bene e con gusto e riso e riesumato ricordi e aneddoti ma, ecco, c’erano dei grandi assenti, purtroppo per noi e per loro.
Quando “facevamo Natale” dai miei c’era così tanto cibo e tanta gente da dover usare un tavolo supplementare per gestire il servizio delle portate, altrimenti non sapevamo dove metterci 372 pirofile e piatti e ciotole e terrine.
Cerco di mantenere viva qualche occasione, cerco di prendere il testimone ma al giorno d’oggi è super faticoso far quadrare tutto.
Ora potete capire perché mi mancano le tavolate e perché suoni così strano, anche a me stessa, che nel rinnovare la cucina io abbia in programma di ordinare un tavolo ancor più piccolo dell’attuale.
A farmi fare queste riflessioni anche il libro di Barbara Toselli: ho acquistato il suo “Il pranzo della domenica” da lei, che caramente me l’ha spedito con una gentilissima dedica.
Ho letto le sue parole e per più motivi l’ho trovato un libro così potente di significato, per il senso che ha per me il pranzo della domenica, e così carico di nostalgia, al pensiero di chi non ne fa più parte.
I piatti che propone sono piatti che prepotentemente urlano condivisione e amore, sono quei piatti che le persone non si mettono più a fare perché gli gnocchi sporcano e va farina ovunque, perché la carne delle polpette si infila sotto il semipermanente o perché “non sarai mica matta che mi metto a far la pasta fresca, non ho tempo”.
Tempo.
Il tempo finisce e la vita, senza questi simboli come il pranzo della domenica o un piatto di pasta offerto agli amici, francamente la trovo parziale.
La trovo scarica di quell’amore che, si, forse costa fatica e carico mentale, ma fa bene, fa bene all’anima.
E a Dario permetterò sempre di sporcare di farina, di invitare amici per merenda, di fare festicciole: da grande non si ricorderà la mia fatica nel far quadrare tutto, e va bene così, ma si ricorderà di quello che ha potuto condividere, dei “grazie mamma per la festa coi miei amici”.
Vi abbraccio,
a presto.




Hai toccato corde sensibili. Anch'io ricordo grandi tavolate ogni domenica, quando ero piccola, e diamo per scontati Natale, Pasqua e i compleanni. Poi i figli (noi) sono cresciuti e, nel mio caso, credo anche la presenza di poche femmine in famiglia abbia contribuito a non portare avanti la tradizione. Non che i maschi non possano eh, ma ci siamo capite. Oggi sono quella che cerca di mantenere viva la tradizione, almeno ai classici Natale e Pasqua, e per quanto ogni volta mi salga lo stress da prestazione, sento che sto contribuendo alla felicità familiare, soprattutto delle mamme che una volta si sobbarcavano tutto il lavoro.
Sulle amicizie... Quanto tempo hai?? :D Credo che le cene tra amici siano purtroppo roba di un'altra generazione. Io continuo a proporle e ad organizzarle, seppur con pochi invitati (io sono per max 4-6 persone, limiti miei), ma ugualmente a te sono rarissimamente ricambiata, con i più vari motivi, anche comprensibili: figli, poco tempo, generale preferenza ad "uscire". Per carità: fantastico andarsi a mangiare una pizza fuori, ma vuoi mettere il calore di una cena anche semplicissima a casa, senza persone moleste, rumori, coi tempi e il relax che vuoi? Che dire: siamo in pochi a pensarla così, ma forse basta solo "trovarsi".
Cara Lidia, mi hai emozionato e commosso. Il pranzo della domenica mi ricorda i tempi passati quando da piccola aspettavo con ansia che il mio papà tornasse a casa con un vassoio pieno di dolci. Ricordo ancora i sapori, gli odori, le sensazioni. Mi hai fatto riflettere su quanto poco si abbia voglia di fare (non sempre) : siamo stanchi, siamo presi da tante cose, siamo di fretta. Intanto il tempo passa come dici tu e le persone le perdiamo di vista. Che peccato. Faccio tesoro del tuo pensiero e, passato questo caldo infernale, mi riprometto di organizzare delle tavolate tra amici. C'è un momento migliore della tavola per condividere l'amicizia? Ti abbraccio forte. Lucia.